Cos’è l’allenamento? – PARTE I

Cos’è l’allenamento? – PARTE I

Nell’articolo precedente (e in molti altri interventi ad essere onesto) ho cercato di spiegare che non tutto lo stress vien per nuocere e che in totale assenza di eventi stressogeni, moriremmo in poco tempo. Ad esempio, viene classificato come stress anche l’allenamento. Quest’ultimo, infatti, viene definito come l’agente stressogeno atto a destabilizzare gli equilibri omeostatici in essere nell’organismo, per ristabilirne di superiori dopo un primo momento di adattamento. In pratica, il nostro corpo è costantemente turbato da segnali (stress) endogeni ed esogeni ai quali deve continuamente rispondere. Come si deduce, non esiste uno stress di per sé “buono” o “cattivo”. Esiste solamente la nostra capacità di rispondere a questo in maniera efficace.

Cos’è l’adattamento all’allenamento?

Abbiamo stabilito che l’allenamento è un disagio, un qualcosa che distrugge e mette a subbuglio gli equilibri in essere. Su questo aspetto inviterei a riflettere, soprattutto quando bisogna mettere in discussione uno dei parametri che definiscono l’allenamento, ossia l’intensità. È questo il criterio che ci dice se quello che stiamo facendo supera o meno la soglia di allarme oltre la quale si crea scompiglio a livello fisiologico. Non possiamo adottare un’intensità qualunque per definire il nostro allenamento poiché se così fosse, il corpo dovrebbe mettere in gioco i processi di adattamento per qualsiasi, anche per il più futile, segnale stressogeno. Che spreco di energia! Il concetto di adattamento rientra nel processo generale di evoluzione dei primati ma anche del nostro personale percorso di crescita, che da neonati ci accompagna fino all’età adulta. Se un neonato venisse privato degli stimoli meccanici, nervosi, mentali correlati  al provare a camminare sulle gambe anziché gattonare, non riuscirebbe mai a sviluppare la forza per stare eretto. Quei disagevoli passaggi sono come un allenamento per lui. Arrivati all’età adulta, il corpo si adatta al nostro stile di vita, mantenendosi sempre in uno stato di economia organica. Ragion per cui, meno ci muoviamo, più il nostro organismo abbassa i livelli omeostatici, come succede negli anziani che esposti a minori stimoli, sviluppano atrofia muscolare e incapacità di deambulare. Proviamo a capire meglio con due, spero semplici, esempi:

  1. Se sono in grado di sostenere un’ora di camminata alla velocità di 6km/h, camminare a  5km/h, mi farà sicuramente bene, ma non sarà certo uno stimolo allenante. Se invece provo a camminare a 7 km/h, il disagio di scarso apporto di ossigeno (fiatone) ai muscoli diverrà un segnale per indurre l’organismo ad adattarsi.
  2. In un certo esercizio ginnico, i miei muscoli sono in grado di sollevare 10kg per 5 volte. Se continuo a sollevare 9kg o 10 kg sempre per 5 volte, non stimolo al miglioramento. Se provo invece a sollevare 11kg per 5 volte, creo delle “micro-lacerazioni” (chiamiamole così) al tessuto muscolare (il classico dolore dei gg successivi, che si chiama DOMS e non acido lattico). Tale disagio tissutale diviene quel segnale utile che induce il nostro corpo a creare un surplus di materia muscolare o a rendere la stessa più forte e resistente.

Come funziona l’allenamento?

Il concetto di INTENSITÀ è quindi uno dei fattori fondamentali affinché ciò che stiamo facendo divenga o meno, uno stimolo allenante. Se non si ha esperienza nella gestione dello stesso, evitiamo di gestire i carichi in funzione delle nostre preferenze/emozioni/paure/sfide etc….Solitamente è compito del trainer consigliare ai meno esperti il carico da utilizzare in funzione delle loro capacità.

Se hai trovato interessante il mio articolo, potrai approfondire l’argomento trovandomi nel mio studio di Rosà, in Via Schallstadt 17/19.

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